Libera come Carmen

Iaia Forte porta a teatro tutta la femminilità e la modernità della zingara protagonista dell’opera di Bizet. Una donna libera, anticonformista, sfrontata. In una parola: Forte

Altro che forte, Iaia è una donna con gli attributi. Una donna partenopea, dal carattere solare e dalla femminilità prorompente. Una magnifica interprete del nostro teatro, con all’attivo un numero incredibile di palcoscenici calcati, e anche diverse significative incursioni nel cinema nostrano. Per dire, Iaia Forte ha partecipato al più grande successo italiano a Hollywood degli ultimi tempi, il film da Oscar di Paolo Sorrentino La Grande Bellezza. D’altronde, in origine, fu proprio Toni Servillo a intuirne la bravura e ad accompagnarla sulle scene. Da allora, la carriera di Iaia Forte non si è più fermata, e lei ha impersonato ruoli sempre più impegnativi, senza mai aver paura di osare. Perfino quando si è messa nei panni di un uomo per interpretare un altro personaggio nato dalla penna di Paolo Sorrentino, il Tony Pagoda di Hanno tutti ragione. Al Teatro Stabile di Torino, Iaia porta fino al 15 marzo, ancora un personaggio impegnativo, che richiede grande carattere per essere interpretato in tutta la sua complessità. È la Carmen, ammaliante protagonista femminile dell’opera di Bizet, che Enzo Moscato e Mario Martone hanno ricucito intorno a Iaia, “amica, musa e donna capace di stare al centro di molti incroci, quali saranno quelli della banda mista di napoletani e di immigrati che popoleranno il palcoscenico”.

Iaia Forte, ci racconta un po’ questa Carmen moderna?
«L’idea di rimettere in scena la Carmen è stata di Martone ed è nata dalla volontà di lavorare con l’Orchestra di piazza Vittorio, che ha meravigliosamente riarrangiato le musiche dell’opera. Il tutto è ambientato a Napoli: ne è venuto fuori uno spettacolo mediterraneo ma contaminato, una cosa molto personale. Portiamo in scena la dimensione contemporanea della multietnicità, una realtà di cui la nostra società (e anche una città come Torino) è pregna. Personalmente, sono molto grata a Martone di poter cantare e ballare, e per il fatto di poter rivivere alla mia età un personaggio così femminile, una dimensione dell’essere donna così anarchica e anticonvenzionale, così libera».

Quanto la inorgoglisce questa reinterpretazione in chiave mediterranea della Carmen, trasferita nella “sua” Napoli?
«Il napoletano è stato scelto perché è molto funzionale alla musica: si presta più dell’italiano a essere cantato. Io non ho una formazione da attrice dialettale, quindi per me è una novità, e devo dire che sono molto contenta di questa possibilità di tornare alle mie origini».

In scena porta un personaggio femminile molto complesso. Quali sono le caratteristiche della sua Carmen?
«Io penso che Carmen sia come un fantasma del maschile: lei spaventa gli uomini, che temono questa sua libertà. Non a caso nell’opera di Bizet muore. In questa rappresentazione invece è stato scelto di farla vivere, anche se viene accecata da José. Trovo interessante questa metafora: è il femminile che continua a vivere nonostante la ferita, che è più forte del male che le possono fare gli uomini».

Quanto ha messo di lei nel personaggio che interpreta?
«In ogni personaggio che porto sul palco c’è una zona di me, magari fino ad allora sconosciuta. Ogni personaggio prende un’eco naturale di quello che sono io e viceversa. In Carmen in realtà non c’è molto di me: io sono molto più moderata, ma prendo esempio da lei, perché una donna così femminile e libera non può non insegnarmi qualcosa. Mi piace l’idea che i personaggi che interpreto mi aiutino a crescere, a evolvermi».

Molti classici vengono oggi rivisti e reinterpretati. C’è una riscoperta di questi capolavori? Non esiste il rischio che vengano snaturati?
«In questo caso, la Carmen è stata proprio riscritta, quindi si tratta a tutti gli effetti di drammaturgia contemporanea. E poi i classici sono grandi proprio per questo: sono talmente complessi, talmente ricchi, che ognuno può illuminarne una zona diversa».

Lei ha lavorato anche in molti film di successo: di recente è stata alla mostra del cinema di Venezia con “Il giovane Favoloso”. Preferisce il glamour del cinema o la raffinatezza e la dimensione più raccolta del teatro?
«Il palcoscenico è il mio primo amore: mi considero infatti un’attrice di teatro che ogni tanto fa cinema. La verità è che mi piace portare quella dimensione di glamour a teatro, magari recitando in spettacoli come questo, che sono molto pop. Viceversa, cerco di portare la serietà e l’impegno del teatro nelle pellicole che scelgo di interpretare».

Quella delle rappresentazioni più “pop” è in effetti una deriva del teatro contemporaneo. Lei cosa ne pensa?
«L’importante è non tradirsi per compiacere il pubblico, ma mantenere sempre un senso in quello che si fa. E poi è meraviglioso che il teatro parli a un pubblico sempre più ampio».

Lei ha recitato ne La Grande Bellezza: che effetto fa essere in un film da Oscar?
«È la sensazione che tutto è possibile. L’Oscar è un’idea mitologica, una cosa che si dice solo scherzando. Partecipare a un film così complesso, che – proprio come dicevo prima – non si abbassa mai a compiacere il pubblico ma che nonostante questo ha avuto un enorme impatto in tutto il mondo è davvero il coronamento di una carriera».

Ci tolga una curiosità: che tipo è Toni Servillo?
«È un uomo molto simpatico, oltre che un attore e un professionista straordinario. Ma la verità è che non riesco a essere oggettiva: devo molto a Toni, è stato lui che mi ha messa in scena per la prima volta».

In qualche misura, lei lo ha anche “sfidato”, interpretando un personaggio che era stato costruito su di lui (il Tony Pagoda di Hanno tutti ragione, ndr). Una grande responsabilità…
«Sì, e se avessi pensato ai giudizi degli altri sarei rimasta bloccata. Invece me ne sono fregata e ho continuato a lavorare come sempre, con impegno. Mi piaceva l’idea di fare quello spettacolo, mi incuriosiva e mi stimolava la possibilità di impersonare un uomo: adoro le sfide e le cose che possono mettermi in difficoltà, penso che siano l’unica maniera per crescere. E poi è il bello del teatro, no? Non c’è bisogno di verosimiglianza, il palcoscenico è il luogo della fantasia e del sogno, dove si può essere qualsiasi cosa».

Lei conosce bene Torino, ha lavorato qui con Ronconi durante le Olimpiadi del 2006. Cosa pensa della nostra città?
«Torino mi piace moltissimo, e non lo dico per circostanza. Mi piace la struttura urbanistica della città, un reticolato ordinato che mi quadra il cervello, che mi fa stare bene; una precisione che dà ordine alla mia psiche. Mi piacciono le librerie e i vecchi caffè, quelli senza musica, vissuti ancora come luoghi di incontro, di ritrovo. Bar così sono rarissimi nelle altre città. Mi piacciono le montagne sullo sfondo, specialmente in quelle giornate invernali ma con il sole.»

Lei è una donna molto femminile: che rapporto ha con la moda?
«Adoro davvero la moda, sono molto vanitosa. Impazzisco per Miu Miu e Prada, ma anche per la vostra Kristina T. Amo mescolare cose firmate e cose vintage, e in generale vado matta per le cose belle».

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